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Studio Consulenza Legale & del Lavoro - SLTL Avvocati in Venezia

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In breve

Imputazione del pagamento

  • Per "imputazione di pagamento" si intende il riferimento della prestazione ad un particolare debito da soddisfare.

Il debitore non può imputare il pagamento al capitale, piuttosto che agli interessi e alle spese, senza il consenso del creditore.

Il pagamento fatto in conto di capitale e d’interessi deve essere imputato prima agli interessi: è l'art. 1194 del codice civile.

La norma afferma il principio secondo cui il pagamento che non estingua interamente il debito deve essere imputato prima agli interessi ed alle spese, poi al capitale.

Quanto ai presupposti, l'articolo 1194 trova applicazione se:

a) vi è la coesistenza di crediti per capitale e crediti accessori, per interessi o per spese (C. 10149/1991);

b) tali crediti sono parimenti liquidi ed esigibili

c) i pagamenti sono eseguiti volontariamente, e non coattivamente.

Quanto alla prova, dal momento che il criterio legale dell'imputazione del pagamento agli interessi funziona automaticamente, resta a carico del debitore l'onere di dimostrare che il creditore ha acconsentito all'imputazione della somma versata prima al capitale, anziché agli interessi.

***

  • Il pagamento parziale, in acconto, effettuato per adempiere un debito costituito da capitale e interessi, va imputato prima agli interessi.

Chi ha piu' debiti della medesima specie verso la stessa persona puo' dichiarare, quando paga, quale debito intende soddisfare.

In mancanza di tale dichiarazione, il pagamento deve essere imputato al debito scaduto;

- tra piu' debiti scaduti, a quello meno garantito;

- tra piu' debiti ugualmente garantiti, al piu' oneroso per il debitore;

- tra piu' debiti ugualmente onerosi, al piu' antico.

Se tali criteri non soccorrono, l'imputazione e' fatta proporzionalmente ai vari debiti:  è l'art. 1193 del codice civile.

Risulta necessario che:

- esistano di più crediti di uno stesso creditore verso lo stesso debitore, che, benché omogenei, abbiano però titolo e causa diversi.

- i pagamenti siano eseguiti volontariamente;

- il creditore possa pretendere l'adempimento;

- i diversi crediti siano tutti esigibil.

La questione dell'imputazione del pagamento, quindi, non è proponibile quando sussista tra le parti un unico debito, giacché l'adempimento di questo, se è totale, ne determina l'estinzione, mentre, se è parziale, comporta la permanenza dell'obbligo di eseguire la prestazione per il residuo, ferma restando per il creditore la possibilità di rifiutare l'adempimento parziale.

***

  • In ogni caso, se taluno, avendo più debiti, accetta una quietanza nella quale il creditore ha dichiarato di imputare il pagamento a uno di essi, non può pretendere un'imputazione diversa, se non vi è stato dolo o sorpresa da parte del creditore: è l'art. 1195 del codice civile.

Pertanto, qualora il debitore non provveda all'imputazione del pagamento ad uno dei suo debiti, tale facoltà spetta al creditore, che la esercita tramite la quietanza. A differenza però dell'imputazione fatta dal debitore, la quietanza non produce effetto se non è accettata dal debitore.

Avv. Alberto Vigani

 

 

 
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Guida al Divorzio (congiunto e giudiziale) PDF Stampa E-mail

IL DIVORZIO

Con l'esperienza di oltre quindici anni di vita nell'avvocatura, ho visto che le perplessità ed i dubbi di coloro che si avvicinano al divorzio sono spesso costanti. Per questa ragione, con il lavoro dello staff dello studio, ho raccolto le principali domande che vengono poste nel corso del colloquio con l'avvocato ed ho preparato una sintesi tecnica del percorso divorzile.

Riorganizzando le risposte nè è venuta fuori una guida breve (una sorta di "istruzioni per l'uso") che può essere di aiuto a chi si deve approcciare al legale oltre che utile per consentire la gestione della pratica nel modo più rapido, economico ed indolore.

La abbiamo così messa a disposizione della nostra clientela e di tutti coloro che potrebbero averne bisogno per poi contattarci.

La puoi trovare qui sotto o scaricarla in pdf CLICCANDO QUI ed avendola a disposizione come un comodo E-book.

Avv. Alberto Vigani

 

 


IL DIVORZIO

COS'E' IL DIVORZIO?

Mentre la separazione non pone fine al rapporto coniugale, ma ne attenua solo gli effetti, il divorzio produce lo scioglimento del matrimonio o la cessazione degli effetti civili (se è stato celebrato con rito religioso riconosciuto dallo Stato).

La separazione, senza sopravvenuta riconciliazione, è, di norma, il passaggio necessario per ottenere il divorzio: il termine per poter domandare quest'ultimo è, infatti il decorso di un triennio dalla avvenuta comparizione dei coniugi innanzi il Presidente del Tribunale nella procedura di separazione (art. 3. L. 898/1970)

Gli effetti del divorzio si producono con la pronuncia della sentenza. Solo dopo di essa gli ex coniugi possono contrarre nuovo matrimonio.



COME SI CHIEDE IL DIVORZIO?

La richiesta di divorzio può essere congiunta da entrambi i coniugi, o disgiunta, chiesta da uno solo di essi. In quest'ultimo caso, deve esserci sempre il patrocinio di un legale per ciascun coniuge; nel primo, invece, è tuttora controverso se le parti possano stare in giudizio con il ministero del medesimo difensore. Sembra da condividersi la soluzione positiva poiché l'oggettivo conflitto di interessi è superato dall'accordo manifestato dalle parti sia sulla domanda di divorzio sia su quelle accessorie. In quest'ottica, la maggior parte dei Tribunali ritiene sufficiente un solo avvocato. E' necessario, però, rappresentare che ove insorgesse un conflitto tra i coniugi l'avvocato dovrà rinunziare ad uno ovvero, come pare preferibile, ad entrambi i mandati.

Nel primo caso, quello del divorzio cosiddetto consensuale, i coniugi devono essere d'accordo su tutte le condizioni che andranno a regolamentarlo (economiche e relative ai figli).

In questo caso, come nella separazione consensuale, il tempo necessario alla pronuncia si aggira in media su 90 giorni ed il procedimento si introduce con un ricorso sottoscritto da entrambi i coniugi e dall'avvocato. Nel momento in cui i coniugi hanno maturato il comune accordo divorzile non solo è possibile ma è proprio consigliabile rivolgersi ad un unico avvocato: i tempi del procedimento saranno così ridotti e i costi dimezzati.

L'avvocato, in questo caso, diverrà il consulente di entrambi i coniugi guidandoli alle migliori soluzioni condivise per regolare i loro rapporti patrimoniali e non.

Data la particolarità della materia, che richiede specifiche conoscenze, è consigliabile rivolgersi ad un legale che sia esperto in diritto di famiglia.

Per converso, quando i coniugi non sono d'accordo sulle condizioni divorzili, si ha il divorzio giudiziale o contenzioso. In questa seconda ipotesi, come nella separazione giudiziale, basta che sia depositato un ricorso da uno solo dei coniugi ed ha inizio un procsso civile secondo il rito ordinario che avrà anche la durata di una causa ordinaria (potendo quindi durare anni).

Alla prima udienza il Presidente del Tribunale tenta la conciliazione e poi assume i provvedimenti provvisori ed urgenti che varranno fino alla pronuncia della sentenza di divorzio. Di lì in poi seguirà un'istruttoria, con documenti, testi e perito, in cui ciascuno dei coniugi porterà prove a sostegno delle proprie ragioni. All'esito, sarà emessa la sentenza che imporrà le condizioni decise dal Tribunale.

Il ricorso che introduce la richiesta divorzile deve sempre essere presentato con l'assistenza di almeno un avvocato.

In presenza dei requisiti reddituali, si può sempre essere assistiti gratuitamente con il Patrocinio a spese dello Stato.



DOVRO' ANDARE IN TRIBUNALE?

Nel caso di divorzio congiunto sarà sufficiente andarci solo una volta, in occasione dell'udienza presidenziale. Il Presidente del Tribunale, infatti, entro i 5 giorni successivi al deposito del ricorso fissa con decreto la comparsa dei coniugi davanti a se per sentire le loro ragioni e per svolgere un ultimo tentativo di conciliazione.

Nel caso di divorzio contenzioso è possibile essere convocati dal Giudice anche per l'interrogatorio formale oltrechè per l'esperimento del tentativo di conciliazione e quindi possono essere necessarie 2 o 3 presenze in udienza.



POSSO OPPORMI ALLA RICHIESTA DI DIVORZIO?

Anche nel caso di divorzio giudiziale, ossia quando non vi è accordo su tutte le condizioni di divorzio, non vi può essere una pura opposizione allo scioglimento del vincolo coniugale.

L'unico caso in cui viene respinto il ricorso per divorzio è quando vi è stata la riconciliazione fra i coniugi e quindi non è decorso il termine triennale dalla separazione richiesto dalla legge.



QUALI SONO GLI EFFETTI PERSONALI E PATRIMONIALI DEL DIVORZIO?

La sentenza di divorzio non è la naturale prosecuzione di quanto disposto in sede di separazione personale dei coniugi: il Giudice avanti cui viene depositato il ricorso per divorzio è infatti libero di confermare le condizioni statuite precedentemente o di modificarle, quindi, quantomeno in astratto, tutte le condizioni precedentemente assunte possono essere rinegoziate. Spesso, però, i coniugi chiedono che le condizioni rimangano pressoché inalterate, questo accade soprattutto se sono trascorsi pochi anni dalla separazione e se questa ha garantito un buon equilibrio nei rapporti patrimoniali, esistenziali e con i figli.

La sentenza di divorzio produce comunque i seguenti effetti personali:

•il mutamento dello stato civile dei coniugi, che permette ad entrambi di contrarre nuove nozze;

•la perdita del cognome del marito da parte della moglie, salvo che la stessa sia autorizzata dal giudice a continuare ad utilizzarlo.

La sentenza di divorzio ha i seguenti effetti patrimoniali:

•l'eventuale corresponsione di un assegno divorzile periodico per il mantenimento del coniuge che sia privo di redditi adeguati e si trovi nell'oggettiva impossibilità di procurarseli. È possibile che esso sia sostituito da un assegno in un'unica soluzione, se le parti si accordano in tal senso e se il Tribunale ritiene che la somma sia congrua;

•la perdita dei diritti successori;

•In caso di morte dell'ex coniuge e in assenza di un coniuge superstite cui spetti la pensione di reversibilità, il coniuge nei cui confronti è stata pronunciata la sentenza di scioglimento o di cessazione degli effetti civili del matrimonio ha diritto, se non passato a nuove nozze e sempre che sia titolare di assegno di mantenimento, alla pensione di reversibilità, purchè il rapporto da cui trae origine il trattamento pensionistico sia anteriore alla sentenza (art. 9, 2° comma, L. 898/1970).

Qualora esista un coniuge superstite avente i requisiti per la pensione di reversibilità, una quota della pensione e degli altri assegni a lui spettanti è attribuita dal Tribunale, tenendo conto della durata del rapporto, al coniuge rispetto al quale è stata pronunciata la sentenza di scioglimento o di cessazione degli effetti civili del matrimonio e che sia titolare dell'assegno di mantenimento (art. 9, 3° comma, L. 898/1970).

•il coniuge nei cui confronti sia stata pronunciata sentenza di scioglimento o di cessazione degli effetti civili del matrimonio ha diritto, se non passato a nuove nozze e in quanto sia titolare di assegno di mantenimento, ad una percentuale dell'indennità di fine rapporto percepita dall'altro coniuge all'atto della cessazione del rapporto di lavoro anche se l'indennità viene a maturare dopo la sentenza.

Tale percentuale è pari al quaranta per cento dell'indennità totale riferibile agli anni in cui il rapporto di lavoro è coinciso con il matrimonio(art. 12 bis, L. 898/1970).

COS'E' L'ASSEGNO DIVORZILE?

È quella somma che uno dei due coniugi può essere tenuto a versare all'altro nel caso in cui i loro redditi siano molto diversi.

Come avviene nella separazione giudiziale, infatti, il Tribunale può ordinare a un coniuge di versare all'altro un assegno mensile nel caso che quest'ultimo non abbia adeguati redditi propri: questo assegno deve consentirgli di mantenere il tenore di vita avuto in precedenza.

L'entità dell'assegno divorzile viene commisurata ai redditi del coniuge obbligato e al suo patrimonio complessivamente inteso, nonché alle motivazioni della sentenza, all'apporto di ciascuno al patrimonio familiare in costanza di matrimonio e alla durata dello stesso.

L'impossibilità del coniuge richiedente di procurarsi adeguati mezzi di sostentamento per ragioni obiettive viene accertata con riferimento al principio per cui le condizioni economiche del coniuge più debole non devono essere deteriorate per il solo effetto del divorzio.

Una tale indagine viene condotta in sede di merito e si esprime sul piano della concretezza e dell'effettività tenendo conto di tutti gli elementi e fattori (individuali, ambientali, territoriali, economico sociali) della specifica fattispecie. Di solito è sempre previsto l'aggiornamento dell'assegno sulla base dell'indice dei Prezzi al Consumo (ISTAT) e, talvolta, anche computando la sua rivalutazione.

Il diritto all'assegno divorzile viene meno con le nuove nozze dell'ex coniuge beneficiario. Il principio ispiratore è che in assenza di un nuovo matrimonio, il diritto all'assegno di divorzio, in linea di principio, di per sé resta.

L'obbligo di pagare l'assegno divorzile permane pure se il richiedente abbia instaurato una convivenza more uxorio con altra persona. Esso può però esser fatto cessare se viene data la prova che il nuovo rapporto ha caratteristiche tali da fare ragionevolmente ritenere che l'ex coniuge non si trovi più in quella situazione di bisogno capace di giustificare un assegno a suo favore, per cui l'instaurazione di una simile convivenza faccia effettivamente venir meno la necessità dell'assegno ai fini della conservazione di un tenore di vita analogo a qualello ante separazione.

Qualora l'ex coniuge gravato dall'obbligo di pagare l'assegno divorzile non vi provveda sono consentiti tutti i mezzi di tutela che erano previsti per l'assegno di mantenimento in sede di separazione.

In linea teorica l'assegno divorzile potrebbe essere concesso anche a favore del coniuge cui sia stata addebitata la separazione.

L'assegno divorzile non va confuso con il contributo al mantenimento dei figli, che è sempre dovuto al genitore con cui gli stessi prevalentemente convivono.



QUANDO SI PUO' CHIEDERE IL DIVORZIO?

L'art. 1 della Legge n. 898/1970 afferma che «il giudice pronuncia lo scioglimento del matrimonio [...] quando [...] accerta che la comunione spirituale e materiale tra i coniugi non può essere mantenuta o ricostituita».

Il Tribunale prima di dichiarare lo scioglimento del vincolo matrimoniale o la cessazione degli effetti civili del matrimonio religioso, dovrà accertare l’esistenza di due condizioni.

La prima, di natura soggettiva, è costituita dalla fine:

•della comunione materiale tra i coniugi, costituita dalla stabile convivenza, da un'organizzazione domestica comune, dal reciproco aiuto personale e dalla presenza di rapporti sessuali;

•della comunione spirituale consistente nell'affetto reciproco, nell'ascolto, nell'aiuto e nel sostegno psicologico reciproci, nella comprensione e nella condivisione dei problemi.

La seconda, di natura oggettiva, costituita dall'esistenza di una delle cause tassativamente previste dalla legge (art. 3 Legge 898/1970):

•che sia stata omologata la separazione consensuale oppure sia stata pronunciata, con sentenza definitiva, la separazione giudiziale e siano trascorsi almeno tre anni dall'udienza presidenziale (che è la prima udienza, in ambedue i casi);

•che uno dei coniugi sia stato condannato all'ergastolo o a qualsiasi pena detentiva per reati di particolare gravità;

•che uno dei coniugi, cittadino straniero, abbia ottenuto nel suo paese l'annullamento o lo scioglimento del matrimonio ovvero abbia contratto nuovo matrimonio;

•che il matrimonio non sia stato consumato;

•che sia stato dichiarato giudizialmente il mutamento di sesso di uno dei coniugi.

La dichiarazione di nullità del matrimonio religioso comporta anche la cessazione degli effetti civili, tra cui l'obbligo al pagamento degli alimenti, fatti salvi gli effetti del matrimonio putativo.

Per la legge italiana deve trascorrere un periodo minimo di 3 anni dalla comparizione dinanzi al Presidente del Tribunale nella procedura di separazione personale. Tutavia in alcuni casi (impotenza, attentato alla vita dell'altro coniuge, condanna penale per specifici reati, etc.) pure elencati all'art. 3 della Legge 898/1970 è possibile chiedere il divorzio senza passare per la fase intermedia della separazione.



COSA SI PUO' FARE CONTRO LA SENTENZA DI DIVORZIO?

Come per tutti i giudizi di primo grado è prevista la possibilità di un riesame nel merito della trattazione svolta e della decisione assunta in sentenza: l'impugnazione del provvedimento del Tribunale si fa proponendo appello avanti il Giudice di secondo grado (la Corte d'Appello.)

La sentenza di divorzio non è irrevocabile. Se sopraggiungono giustificati motivi, infatti, il Tribunale può modificare le statuizioni sull'assegno e sull'affidamento dei figli.

Si dice, pertanto, che in diritto di famiglia non si forma mai il giudicato definitivo.

Come nell'impugnativa della sentenza di separazione, anche questa attività può essere assistita con il Patrocinio a spese dello Stato, in presenza dei requisiti di legge.



DOPO LA SENTENZA DI DIVORZIO POSSO RISPOSARMI SUBITO?

Gli uomini possono risposarsi si subito dopo il passaggio in giudicato della sentenza.

Le donne invece devono attendere 300 giorni dalla pronuncia di divorzio (è il c. d. lutto vedovile o tempus lugendi che mira ad evitare difficoltà nell'attribuire la paternità ad eventuali figli che dovessero nascere); ciò a meno che il divorzio non sia stato pronunciato per impotenza a generare di uno dei coniugi (cfr. art.89 cod. civ.)



IL DIVORZIO ANNULLA ANCHE IL MATRIMONIO RELIGIOSO?

No, il divorzio scioglie solamente il matrimonio civile o fa cessare gli effetti civili del matrimonio religioso.

Per la Chiesa il matrimonio religioso continua però a produrre i suoi effetti fino a che questo non venga dichiarato nullo o annullato da un organo giudiziario ecclesiastico (Tribunale Ecclesiastico Regionale o Sacra Rota).

La Chiesa Cattolica e le altre religioni concordatarie non riconoscono alcuna efficacia alle sentenze dei Tribunali della Repubblica in materia di matrimonio religioso.

Anche davanti ai tribunali ecclesiastici cattolici è ammesso il gratuito patrocinio a favore dei non abbienti.

 

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Avv. Alberto Vigani & Studio di Consulenza Legale Tributaria e del lavoro

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