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Studio Consulenza Legale & del Lavoro - SLTL Avvocati in Venezia

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In breve

Nel regime ordinario delle locazioni urbane fissato dalla legge n. 392 del 1978, la disciplina di cui all'art. 55, relativa alla concessione di un termine per il pagamento dei canoni locatizi scaduti e per la sanatoria del relativo inadempomento non opera in tema di contratti aventi ad oggetto immobili destinati ad uso diverso da quello abitativo.

 

 
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Competenza del Giudice del lavoro per la concorrenza sleale PDF Stampa E-mail

Resta sempre competente il Giudice del lavoro per tutte le pretese che hanno trovato fondamento nel rapporto lavorativo: ciò vale anche per quei fatti che possono essersi verificati successivamente alla sua estinzione. Esempio può essere il caso in cui i comportamenti del lavoratore dipendente costituiscano violazione del patto di non concorrenza.

Ritenuto in fatto

Con la sentenza indicata in epigrafe la Corte d’appello di Lecce, respingendo il gravame proposto da E..D.G., ha confermato la decisione del Tribunale della stessa città in data 20 maggio 2003, con cui era stata rigettata la domanda del predetto, intesa all’annullamento della sanzione del richiamo scritto infertagli dalla datrice di lavoro O. s.p.a. per mancata comunicazione della variazione di domicilio ai fini della verifica fiscale dello stato di malattia, ed era stata invece accolta la domanda riconvenzionale della società, intesa alla condanna del D.G. al pagamento di L. 4.878.872, pari alla differenza fra l’importo netto di L. 60 milioni versato in acconto sulle spettanze riconosciute nell’accordo transattivo del 3 marzo 2000 e l’importo effettivamente dovuto in esito alle detrazioni fiscali sulle medesime spettanze, nonché dell’ulteriore somma di L. 16 milioni, a titolo di penale per la violazione del patto di non concorrenza sottoscritto il 29 febbraio 2000 per avere il D.G. svolto attività di lavoro - dopo la risoluzione del rapporto - alle dipendenze della concorrente società T. Elevatori e per non avere egli osservato l’obbligo, da lui assunto con la predetta scrittura, di informazione su questa attività a richiesta della O.
In particolare, i giudici d’appello, disattesa la preliminare eccezione di incompetenza sulla riconvenzionale relativa al patto di non concorrenza, hanno osservato che in effetti il D.G. - com’era emerso dalle risultanze istruttorie - aveva svolto attività di lavoro per un’impresa concorrente ed era venuto meno all’obbligo convenzionale di informare la O. di questa attività e che, quanto alla differenza sulle spettanze riconosciute in sede di transazione, in base all’accordo in questione la società ben aveva proceduto - in esito alla risoluzione del rapporto e in base a conteggi rimasti privi di contestazione - al conguaglio derivante dalla detrazione fiscale sulle medesime spettanze.

Avverso tale decisone il D.G. ha proposto ricorso per cassazione con quattro motivi di impugnazione, illustrati con memoria, cui la società O. ha resistito con controricorso.
La causa è stata trattata con il rito camerale, ai sensi dell’art. 375 c.p.c., con le conclusioni del P.G. riportate in atti.

Considerato in diritto

Il primo motivo di ricorso denuncia violazione degli art. 36 e 40 c.p.c., sostenendosi la incompetenza del giudice del lavoro in ordine alla riconvenzionale relativa al patto di non concorrenza, trattandosi di domanda fondata su titolo diverso da quello dedotto con la domanda principale e su fatti verificatisi dopo la cessazione del rapporto di lavoro.
Il secondo motivo denuncia violazione degli art. 1362 ss. c.c. e dell’art. 2125 c.c., nonché degli art. 13, 14 e 15 Cost. e dei principi generali in materia di riservatezza, nonché vizio di motivazione, lamentandosi che i giudici di merito abbiano omesso di considerare che l’obbligo assunto dal D.G. aveva riguardato l’attività di lavoro su impianti ascensoristici, mentre lo svolgimento di tale attività non era stata minimamente dimostrata, e che il lavoratore aveva comunque risposto alla richiesta di informativa della O. comunicando che nessuna violazione del patto si era verificata e osservando che il proprio obbligo non poteva estendersi a tutta l’attività di lavoro da lui svolta.
Il terzo motivo denuncia violazione degli art. 1362 ss. c.c. e vizio di motivazione, sostenendosi che in base all’accordo transattivo intercorso fra le parti la O. si era impegnata a pagare L. 60 milioni oltre alle successive spettanze maturate al momento di cessazione del rapporto, sicché i giudici di merito avevano erroneamente ritenuto la legittimità dei conteggi redatti dalla società, peraltro mai accettati dal lavoratore.
Il quarto motivo denuncia vizio di motivazione per avere la Corte d’appello omesso ogni esame della censura del D.G. riguardo alla statuizione del Tribunale sulle spese di lite.

Tali motivi contengono censure in parte inammissibili e in parte manifestamente infondate.
Riguardo al primo, basta osservare che la competenza del giudice del lavoro si estende a tutte le pretese che hanno fondamento nel rapporto di lavoro, anche se relative a fatti verificatisi dopo la sua cessazione, quali i comportamenti del lavoratore che integrino il divieto di un patto di non concorrenza (cfr., fra le altre, Cass. n. 5901 del 2001).
Quanto al secondo motivo, esso contiene censure che, da una parte, si contrappongono, inammissibilmente, ad un accertamento di fatto del giudice di merito, e, in particolare, alla valutazione della prova relativa allo svolgimento dell’attività lavorativa presso un’impresa concorrente, e, dall’altra, nulla di specifico oppongono all’accertamento concernente la violazione dell’obbligo di informativa, che - secondo una interpretazione del patto che in questa sede non ha ricevuto censure adeguate da parte del ricorrente - non poteva risolversi nella mera comunicazione del lavoratore secondo cui nessuna violazione s’era verificata.
Il terzo motivo è anch’esso privo di specificità, in quanto non indica in modo puntuale in quale vizio di motivazione o in quale violazione di canoni di interpretazione sia incorso il giudice di merito nella interpretazione dell’accordo transattivo intervenuto fra le parti, finendo anch’esso per compendiarsi in una semplice allegazione di un’esegesi diversa, contrapposta a quella operata dal giudice di merito; né viene contraddetta in maniera specifica l’affermazione della sentenza impugnata riguardo alla non contestazione dei conteggi, indicandosi in maniera generica una mera “non accettazione” dei medesimi, senza alcun riferimento a puntuali osservazioni eventualmente sollevate con riguardo a singole componenti dei predetti conteggi.
Infine, il quarto motivo non riporta né indica la censura asseritamene sollevata in appello contro la statuizione sulle spese contenuta nella decisione di primo grado, né tale censura è riferita nella sentenza impugnata, sicché non è dato neanche comprendere se - come eccepisce la società resistente nel controricorso - una eventuale richiesta di riforma della statuizione sulle spese fosse indicata nell’appello come conseguenza della domandata riforma della decisione di primo grado.
In conclusione, il ricorso è respinto. Il ricorrente va condannato al pagamento delle spese di giudizio, secondo soccombenza, con liquidazione come in dispositivo.

PQM

La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio, liquidate in Euro 17,00 per esborsi ed in Euro duemila per onorari, oltre spese generali, IVA e CPA come per legge.

 

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