Imputazione del pagamento
Il debitore non può imputare il pagamento al capitale, piuttosto che agli interessi e alle spese, senza il consenso del creditore. Il pagamento fatto in conto di capitale e d’interessi deve essere imputato prima agli interessi: è l'art. 1194 del codice civile. La norma afferma il principio secondo cui il pagamento che non estingua interamente il debito deve essere imputato prima agli interessi ed alle spese, poi al capitale. Quanto ai presupposti, l'articolo 1194 trova applicazione se: a) vi è la coesistenza di crediti per capitale e crediti accessori, per interessi o per spese (C. 10149/1991); b) tali crediti sono parimenti liquidi ed esigibilic) i pagamenti sono eseguiti volontariamente, e non coattivamente. Quanto alla prova, dal momento che il criterio legale dell'imputazione del pagamento agli interessi funziona automaticamente, resta a carico del debitore l'onere di dimostrare che il creditore ha acconsentito all'imputazione della somma versata prima al capitale, anziché agli interessi. ***
Chi ha piu' debiti della medesima specie verso la stessa persona puo' dichiarare, quando paga, quale debito intende soddisfare. In mancanza di tale dichiarazione, il pagamento deve essere imputato al debito scaduto; - tra piu' debiti scaduti, a quello meno garantito; - tra piu' debiti ugualmente garantiti, al piu' oneroso per il debitore; - tra piu' debiti ugualmente onerosi, al piu' antico. Se tali criteri non soccorrono, l'imputazione e' fatta proporzionalmente ai vari debiti: è l'art. 1193 del codice civile. Risulta necessario che: - esistano di più crediti di uno stesso creditore verso lo stesso debitore, che, benché omogenei, abbiano però titolo e causa diversi. - i pagamenti siano eseguiti volontariamente; - il creditore possa pretendere l'adempimento; - i diversi crediti siano tutti esigibil. La questione dell'imputazione del pagamento, quindi, non è proponibile quando sussista tra le parti un unico debito, giacché l'adempimento di questo, se è totale, ne determina l'estinzione, mentre, se è parziale, comporta la permanenza dell'obbligo di eseguire la prestazione per il residuo, ferma restando per il creditore la possibilità di rifiutare l'adempimento parziale. ***
Pertanto, qualora il debitore non provveda all'imputazione del pagamento ad uno dei suo debiti, tale facoltà spetta al creditore, che la esercita tramite la quietanza. A differenza però dell'imputazione fatta dal debitore, la quietanza non produce effetto se non è accettata dal debitore. Avv. Alberto Vigani
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Domain name e denominazione geografica |
E' illecita la registrazione di un domain name facendo uso di una denominazione geografica quando si tratti del nome di un comune, allorché il servizio offerto agli utenti di Internet è strettamente connesso all'indicazione geografica predetta, non configurando pertanto il riferimento alla località un significato fantastico, avente mera funzione individualizzante.
Tribunale Napoli, 11-03-2003 - Est. Carriglio - Comune di Pantelleria c. Voto ed altri SVOLGIMENTO DEL PROCESSO E CONCLUSIONI Con atto di citazione, notificato il 27 2 2001, la società attrice esponeva che fino al 1999 si è occupata di editoria e di produzione di programmi radio televisivi; si è poi interessata del sistema Internet, occupandosi della creazione, pubblicazione e gestione di siti web; che ha così elaborato un progetto finalizzato, tra l'altro, ad offrire agli utenti di Internet vari servizi di informazione e cosiddetta "georeferenzialità" relativi ad alcuni piccoli comuni italiani, per ciascuno dei quali si era previsto l'allestimento di un sito, all'interno del quale gli utenti avrebbero reperito le informazioni più importanti (es. mappatura del territorio comunale); da qui la registrazione dei domain names corrispondenti alla denominazione dei comuni italiani di cui si doveva allestire il sito; che tra i comuni coinvolti nel progetto in esame vi è xxx, in provincia di Potenza: l'attrice ha così allestito il sito xxx.it; che tale registrazione è stata contestata con reclamo del 19 dicembre 2000 - ai sensi dell'art. 16 delle regole di Naming - da tale D.R., invocando la tutela del proprio cognome; che la procedura di riassegnazione, promossa dal R. si è conclusa con la decisione del 14 2 2001, che - in accoglimento del reclamo - ha disposto il trasferimento del sito al signor R. [ ]. La società attrice, invocando la disciplina dettata in materia di marchi di impresa, ha chiesto accertarsi che la registrazione e la utilizzazione del domain name xxx.it da parte sua non costituisce violazione dei diritti di D.R. Quest'ultimo si costituiva e chiedeva il rigetto della domanda, deducendone l'infondatezza, e chiedendo - in via riconvenzionale - effettuarsi la riassegnazione in suo favore del sito xxx.it, con condanna della convenuta ai danni, quantificati in Lire 50.000.000. All'esito di breve istruzione le parti concludevano rispettivamente per l'accoglimento ed il rigetto della domanda. Quindi la causa veniva riservata per la decisione. MOTIVI DELLA DECISIONE 1) Premessa La rete INTERNET - in pochissimi anni - si è imposta prepotentemente all'attenzione anche degli operatori giuridici italiani: in particolare la giurisprudenza, allo stato solo di merito (e quasi sempre cautelare) ha affrontato complessi problemi, giungendo ad alcuni significativi "punti fermi" (tanto più apprezzabili se si considera la mancanza di riferimenti normativi). A tali arresti intende allora adeguarsi il Tribunale, nella decisione della presente causa: si farà riferimento in modo particolare, per la esaustività della motivazione, a Trib. Napoli, 26 febbraio 2002 (caso P.: una delle prime sentenze italiane sui domain name; per esteso in Archivio civile 2002, 706 ss; Giur. Napoletana, 2002, 5, 181 ss ). 2) Domain name e i segni distintivi dell'impresa L'uso commerciale dei domain names solleva il problema della interferenza da un lato con i nomi (di persona fisica e giuridica, come di enti d fatto, ma anche di eventi, manifestazioni ecc.), dall'altro con i segni distintivi dell'impresa; infatti i domain names talora (non sempre: v. infra) coincidono o presentano elementi di somiglianza con i nomi, ovvero con i marchi o altri segni distintivi altrui. Da qui la questione della loro qualificazione giuridica e, quindi, della individuazione delle norme applicabili, in primo luogo per risolvere i conflitti scaturenti dalle interferenze sopra richiamate. Un punto fermo è il rilievo che Internet costituisce in primo luogo una forma di comunicazione, anche di impresa, nonché un veicolo pubblicitario (Garante concorr. mercato 27 marzo 1997, n. 4820, Dir. industriale 1997,1064). Ne segue allora l'applicabilità, tendenziale, delle regole in materia di segni distintivi dell'impresa, a loro volta (anche) mezzi di comunicazione d'impresa: ciò beninteso limitatamente ai domain name usati nei rapporti commerciali, ovvero che entrino in conflitto con altri domain name che abbiano un tale uso (v. infra). Costituisce così principio ormai consolidato - pur in questi pochi anni di emersione giuridica di Internet - che "per la sua capacità di identificare l'utilizzatore del sito web ed i servizi di varia natura da essi offerti al pubblico, il domain name assume le caratteristiche e la funzione di un vero e proprio segno distintivo, che può dar luogo a problemi sul piano della tutela della proprietà intellettuale, potendosi verificare casi di confusione con i segni distintivi di altre imprese, anche non presenti sulla rete Internet", v. Trib. Napoli 24 marzo 1999, G., 3992 (è il provvedimento di reclamo della fase cautelare del caso P. sopra richiamato; il leading case è ritenuto Trib. Milano 10 giugno 1997, G., 3666; Foro it. 1998,I, 923 caso A.). Pertanto è senz'altro illecito l'uso di un domain name confondibile con un segno distintivo altrui anteriore (e non solo quando l'appropriazione di quest'ultimo (con la registrazione del domain name) è avvenuta all'esclusivo scopo di ottenere un ingiusto profitto, c.d. domain grabbing o cybersquatting, v. Trib. Milano 7 agosto 2001, Riv. dir. Ind. 2001, II, 444 ). E' veramente superfluo richiamare ulteriore giurisprudenza, tranne forse - per la completezza della motivazione - Trib. Viterbo 24 gennaio 2000, caso Touring, Corr. Giur. 2000, 1367; G., 4124; Foro It. 2000, I, 2334. E' invece assolutamente minoritario e comunque non confermato di recente un opposto orientamento (definito dai commentatori "anarchico" e addirittura "bizzarro") volto ad equiparare il domain name ad un mero indirizzo telematico, sicché non potrebbe porsi per esso un problema di violazione del marchio di impresa, della sua denominazione o dei suoi segni distintivi (v. in ultimo Trib. Firenze, sezione dist. di Empoli 23 novembre 2000, Giur. It. 2001, 1902, riformato in sede cautelare - in senso conforme alla tesi maggioritaria - da trib. Firenze, 28 maggio 2001, Guida al diritto, 2001, fasc. 37, 39, Dir. Ind., 2002, 54). D'altronde la possibilità che anche l'uso di un indirizzo costituisca violazione di un altrui segno distintivo si desume agevolmente dall'art. 1-bis, comma 1° legge marchi. Il valore e la funzione commerciale dei domain names, inoltre, sta anche nella loro capacità - economicamente rilevantissima - di "catturare" il consumatore nella rete, orientandone le scelte di consumo. In particolare l'importanza dei domain names sta nel fatto che consentono all'utente medio, di individuare l'indirizzo di una impresa anche senza conoscerlo a priori, attraverso una ricerca semplice ed intuitiva. Essi allora, in quanto consentono di individuare nella rete un soggetto commerciale, sono a loro volta segni distintivi: è stato giustamente rilevato che i domain names sono davvero - come si è rilevato - "la chiave" per l'ingresso nella new economy, e segnano inevitabilmente il divario tra il mercato tradizionale e la rete Internet. 3 a) il domain name come segno distintivo atipico Vi è invece qualche perplessità, in giurisprudenza, sul tipo di segno distintivo cui il domain name usato in ambito commerciale è riconducibile: Trib. Milano 10 giugno 1997, cit, richiama l'insegna "in quanto il sito spesso configura di fatto il luogo (virtuale) ove l'imprenditore contatta il cliente al fine di concludere con esso il contratto"; v. anche Trib. Ivrea 19 luglio 2000 Dir. Ind. 2001, 177; in tale prospettiva la tutela è essenzialmente quella prestata ex art. 2598 c.c. Tale accostamento, certo suggestivo, è stato criticato in dottrina, osservandosi che non sempre il sito contrassegnato dal domain name è strumento per l'esercizio di una attività economica. Anche in tale ipotesi, d'altronde il domain name contrassegna generalmente prodotti (venduti in quel sito), o servizi; ed allora potrebbe essere meglio assimilato ad un marchio. Effettivamente domain names e marchi assolvono una funzione che può definirsi induttiva, in quanto - attraverso una serie di associazioni mentali - comunicano informazioni e suggestioni su un certo prodotto o servizio. La dottrina e la giurisprudenza più recenti, infatti, a seguito soprattutto della novella del 1992 alle legge marchi, hanno sottolineato che il marchio non ha più la funzione solo distintiva, di origine di provenienza, ma anche - e sotto il profilo economico soprattutto - quella pubblicitaria e di garanzia (pur se non in senso strettamente giuridico) della qualità del prodotto o del servizio cui si riferiscono. L'equiparazione al marchio, peraltro, non può essere piena: diversissimi sono i presupposti per la registrazione e diversa e anche la natura dei diritti che su di essi incidono (i domain names sono solo assegnati in uso). E' preferibile, ad avviso del Tribunale, il richiamo al c.d. segno distintivo atipico, figura riconosciuta dalla giurisprudenza (v. - con riferimento allo slogan pubblicitario - App. Roma 20 gennaio 1981, G., 214); ed in realtà il domain name ha - alla stregua di quanto si è prima rilevato un valore giuridico ed economico autonomo, irriducibile ai segni preesistenti. La questione, in realtà, non è di rilievo decisivo: la giurisprudenza più avveduta ha avuto modo di sottolineare che - a prescindere dall'etichetta giuridica che si vuol dare ad un segno - esso, in quanto utilizzato nel commercio e nell'esercizio di una attività di impresa, se costituisce contraffazione degli altrui segni distintivi, viola la normativa a tutela di questi ultimi, nonché può integrare una condotta di concorrenza sleale, arg. ex Trib. Genova 13 ottobre 1999, Dir. Inf., 2000, 346. In particolare va richiamato l'art. 1 legge marchi, che assicura al titolare del marchio registrato l'utilizzo esclusivo del proprio segno, con interdizione di altrui segni uguali o simili (se confusori). La norma in parola non specifica però i contesti in cui può realizzarsi l'uso da parte di chi non ne è titolare; pertanto nulla osta a che l'ambiente Internet sia ricondotto a tale previsione; d'altronde - e di converso -- la tutela non si vanifica solo perché ci sono nuovi strumenti di comunicazione. Vi è di più: sempre l'art. 1 cpv legge marchi consente al titolare di utilizzare il proprio marchio nella corrispondenza e nella pubblicità, e anche tale previsione sembra corrispondere ad alcuni fondamentali profili di Internet (pur se non prevedibili dal legislatore, del 1941 e anche del 1992); in particolare può derivarsene il diritto del titolare del marchio all'uso esclusivo dello stesso come domain name. E pure riconduce ad Internet, anzi agli stessi domain names, l'art. 13 legge marchi, che vieta l'adozione di una denominazione uguale o simile all'altrui marchio; l'art. 17, d'altro canto, stabilisce che non sono nuovi - e non possono essere registrati - i segni identici o simili ad altro segno già noto come altrui ditta, denominazione o ragione sociale, insegna. La dottrina ha d'altronde elaborato, con riferimento alle due ultime norme citate, il principio di unitarietà dei segni distintivi, e di circolarità della tutela. Si afferma così che il segno distintivo è slegato da un determinato e specifico ambito di operatività; ciascun segno è idoneo a violare o ad essere violato da segni pur di tipo diverso. Anche l'uso dei domain names, può dare luogo ad una tale interferenza, non diversamente da lesioni con altri mezzi, giornali, radio TV. In termini v. - ad esempio - Trib. Parma, 26 febbraio 2001 secondo cui il domain name è "un nuovo segno distintivo dell'impresa, suscettibile, in quanto tale, di entrare in conflitto con altri segni distintivi, in base al principio dell'unità dei segni distintivi desumibile dall'art. 13 l.m.". Da qui l'unitarietà della normativa applicabile: vale a dire che ai domain names si applicherà, in via diretta e non analogica, la disciplina dei segni distintivi, in primo luogo - evidentemente - quella archetipale dei marchi, ivi compresi i principi in materia di nullità. Così se il domain name non corrisponde ai parametri di liceità previsti per i segni distintivi ne seguirà l'illegittimità della registrazione (l'art. 11 c) delle regole di Naming - su cui v. infra - prevede la revoca della assegnazione a fronte di una sentenza passata in giudicato o di una decisione arbitrale). 3 b) i limiti dell'equiparazione del domain name al segno distintivo e il domain name "civile" L'applicabilità ad Internet del diritto dei marchi, peraltro, deve misurarsi - così come può trovare dei limiti - nelle peculiarità del sistema stesso. Così, ad esempio, il sistema Internet non conosce confini, sicché ad esso è inapplicabile il principio di territorialità (fondamentale nel diritto dei marchi); ed ancora: se - in linea di principio - possono coesistere due marchi uguali o simili (principio di specialità), viceversa è tecnicamente impossibile la presenza, sotto lo stesso country code, di due domain name uguali (né può trascurarsi che i domain name possono essere solo denominativi, a differenza dei marchi, per i quali gli elementi grafici o figurativi sono spesso essenziali). Vi è di più: quanto si è fin qui esposto è riferibile pienamente - lo si è già rilevato - ai domain name usati - direttamente o indirettamente - in ambito commerciale e pubblicitario; solo per essi - evidentemente - può valere la qualificazione in termini di segno distintivo. Non può però trascurarsi che, nell'immenso e variegatissimo ambiente Internet, i siti non hanno solo (in tutto o in parte) funzione commerciale o economica, sia pure in senso lato, anche solo pubblicitario. Ciò trova riscontro, d'altronde, anche nella presenza, accanto al TLDN (top level domain name) Com., riservato ai damain name commerciali (ed è appena il caso di ricordarlo: non solo USA), anche di altri, che commerciali non sono: Org., Gov., Eduà. Numerosissimi siti fanno capo ad istituzioni pubbliche o private non commerciali (enti, associazionià), hanno carattere culturale, educativo, religioso ecc., né mancano siti legati a persone o gruppi di persone determinate (pur se, ad esempio, i siti facenti capo a persone note nel mondo dello spettacolo possono considerarsi schiettamente commerciali). Tali siti - ed evidentemente, per quel che qui interessa, i relativi domain name - non possono ritenersi assoggettati puramente e semplicemente alla disciplina dei segni distintivi, e quindi dei marchi (pur se, in mancanza di una disciplina normativa specifica, non può escludersi la applicazione analogica di tale normativa). O meglio: tale normativa sarà applicabile solo allorché i domain name non commerciali entreranno in conflitto con altri commerciali, ed evidentemente con altrui segni distintivi non usati in ambiente Internet. La piena applicazione della normativa sui segni distintivi anche per tali domain name "civili" discende in primo luogo dal rilievo che, tutti, svolgono una funzione pubblicitaria, sicché possono interferire negativamente sugli altrui interessi imprenditoriali ed economici; né si deve trascurare che la tutela dei segni distintivi - di cui alla legge marchi - è assoluta, opera nei confronti di chiunque, pur non svolgendo direttamente attività commerciale, ponga in essere atti lesivi dell'esclusiva sul segno stesso. E' il caso di specie: il domain name rapolla.it., come meglio si esporrà in seguito, in quanto trasferito al convenuto D.R., di per sé non può considerarsi commerciale (il R. riferisce che intende usarlo per diffondere notizie storiche sui suoi antenati, tra cui un giurista del settecento, di cui intende riprodurre le opere; in ogni caso neanche è chiaro se il sito sia attivo o meno). Il conflitto con V., società commerciale che intendeva dare un uso turistico/pubblicitario al sito omonimo, non potrà risolversi - come si esporrà in prosieguo - che alla stregua della normativa sui segni distintivi. Di contro il domain name del R., in quanto non commerciale, non potrà ritenersi assoggettato alla normativa in parola quanto ai requisiti di validità. 4) la assegnazione dei siti Internet: la RA e la NA in Italia la assegnazione dei siti INTERNET è affidata - in estrema sintesi - alla Registration Authority (da ora in avanti: RA). Tale organismo compie le operazioni tecniche necessarie perché il domain name sia visibile e raggiungibile in Internet; gestisce quindi il data base dei nomi di dominio con il country code it. e verifica la rispondenza delle richieste di assegnazione dei domain name al relativo regolamento, le c.d. Regole di Naming (regole essenzialmente tecniche e procedurali per l'assegnazione e gestione dei domain name). Quest'ultimo, e la procedura operativa, sono appunto predisposti dalla NA, organismo separato ed indipendente dalla RA. Sia RA che NA, a dispetto dei nomi che riecheggiano le Autorità Garanti (che prolificano nel nostro ordinamento) non costituiscono organismi istituzionali: infatti non operano alla stregua di norme di diritto pubblico (benché si tratti di articolazioni del CNR, e perseguano finalità di interesse generale, RA ed NA fanno poi capo ad un organismo sovranazionale, Internet Assigned Numbers Authority, IANA); si tratta anzi di soggetti costituiti su base convenzionale, privi di qualsiasi connotato pubblico, v. Trib. Genova 17 luglio 1999, Dir. informatica 2000, 341. L'attività della RA non è quindi paragonabile in alcun modo a quella svolta dall'Ufficio Italiano Brevetti e Marchi, che opera alla stregua di norme pubblicistiche. 5) Le Regole di Naming Le regole di Naming vigenti sono in uso dal 14 agosto 2001. La loro natura non può essere quindi che meramente privatistica: possono essere considerate condizioni generali di contratto e vincolano (oltre evidentemente la stessa RA) l'assegnatario del domain name, che - ai sensi dell'art. 13.1. - è tenuto ad inviare alla RA una "lettera di assunzione di responsabilità", in cui dichiara di "aver preso visione delle norme predisposte dalla NA e di impegnarsi a rispettarle". Delle regole di Naming, peraltro, possono avvalersi, per loro scelta, anche soggetti terzi, che si ritengano lesi dalla assegnazione di un domain name: è infatti espressamente prevista, per la soluzione delle controversie, sia una clausola arbitrale che il procedimento di riassegnazione (su cui v. infra). In ogni caso mai (al di fuori del procedimento arbitrale liberamente attivato dalle parti) l'Autorità giudiziaria può essere in qualche modo vincolata dalle regole di Naming: così anche le parti che sono negozialmente vincolati ad osservarle possono farne valere l'eventuale illegittimità (ad esempio le limitazioni di responsabilità per la stessa RA possono porsi in contrasto con la previsione dell'art. 1229 c.c.) Né può trascurarsi che l'assegnazione in uso dei domain name è sostanzialmente automatica perché la RA si limita ad effettuare controlli di natura tecnica sulla completezza delle domande, senza entrare nel merito, salvo il divieto di registrazione dei nomi di dominio riservati, assegnabili solo a soggetti determinati. Il criterio fondamentale è tuttora quello del first come first served: chi chiede la registrazione di un domain name può ottenerla, sempre che il second level non coincida con altro già registrato. In altri termini un segno può essere utilizzato come domain name quando abbia avuto esito negativo la ricerca di anteriorità identiche condotte dalla RA esclusivamente sui domain names già registrati, senza cioè che l'esame si estenda al confronto con antecedenti registrazioni del medesimo segno come marchio (v. trib. Genova 18 dicembre 2000, Dir. informatica 2001, 521: "Tra i compiti della Registration Authority non rientra quello di verificare l'eventuale conflitto tra il "domain name" e la disciplina relativa ai marchi e agli altri segni distintivi." Le regole di naming prescindono quindi dal significato commerciale di quella parola, e dalle possibili informazioni che possono essere accessibili da quel dominio: non si occupano del rapporto tra domain name e marchio, così - pur non puntualizzandosi più che il domain name è un domain name e null'altro - tuttora l'art. 3 afferma che "i nomi a dominio hanno la sola funzione di identificare univocamente gruppi di oggetti". Pertanto l'interferenza tra domain name e nomi o marchi prescinde totalmente dalla registrazione: la procedura prevista dalle regole di naming tuttora non assicura un idoneo filtro a tutela dei segni distintivi dell'imprenditore. Da qui il principio, fermamente sostenuto in giurisprudenza, secondo cui la pur regolare registrazione è inidonea a conferire diritti di sorta; v. Trib. Cagliari 25 febbraio 2000, Gius, 2519 (relativa alla tutela di un marchio celebre di fatto); Trib. Vicenza 6 luglio 1998, G., 3824; Trib. Roma 2 agosto 1997, caso P., Foro It., 1998, I, 923; Dir. industriale 1998, 138. La regola First come è quindi irrilevante, ai fini che qui interessano: non potrà mai essere opposta ai terzi. Pertanto l'uso di un domain name pur correttamente attribuito dal punto di vista tecnico può ben integrare gli estremi - a seconda dei casi - della lesione del diritto al nome, o della concorrenza sleale, o della legge marchi; il fatto che si sia ottenuto il domain name seguendo le regole del sistema non vuol dire che si sia sottratti dalle norme giuridiche vigenti, che spiegano la loro efficacia anche in Internet. In altri termini i conflitti saranno risolti secondo le norme dell'Ordinamento statuale, evidentemente in primo luogo la legge marchi e la normativa in materia di concorrenza sleale. Al più il giudice potrà tener conto delle Regole di Naming in via sussidiaria ed interpretativa, perché pur sempre espressive delle peculiarità del sistema Internet: è il caso ad esempio - ad avviso del Tribunale - proprio delle regole di cui all'art. 16.6. 6) l'eccezione relativa al procedimento di riassegnazione Il convenuto ha eccepito che - nella specie - aveva attivato la procedura di riassegnazione del domain name contestato, e che l'ente di conduzione, con decisione del 14 febbraio 2001, aveva deciso in suo favore. Secondo il R. la procedura di riassegnazione si configurerebbe come un arbitrato, sicché il provvedimento finale potrebbe essere impugnato solo ex art. 827 c.p.c. L'eccezione è palesemente infondata. Le Regole di Naming, ai fini della risoluzione dei conflitti, prevedono due procedure, una arbitrale (espressamente qualificato arbitrato irrituale; v. trib. Monza, 26 maggio 2001, Dir. Ind., 249), una "amministrativa", prevista dall'art. 16: quest'ultima è, appunto, la procedura di riassegnazione; ha per scopo "la verifica del titolo all'uso o alla disponibilità giuridica del nome a dominio, e che il dominio non sia registrato o mantenuto in mala fede", v. art. 16.2. Le norme che prevedono la procedura, quindi, benché predisposte unilateralmente dalla Na - RA, sono senz'altro vincolanti per chi ha registrato il domain name contestato (perché, con la lettera di assunzione di responsabilità, di cui all'art. 13.1., si è impegnato a rispettare intregralmente le regole di Naming, essendo volontaria solo la sottoscrizione della clausola arbitrale). La procedura è poi aperta alla adesione del terzo che si ritiene leso dalla registrazione del domain name contestato: sotto tale profilo le norme della procedura configurano un negozio giuridico unilaterale contenente una clausola a favore di un terzo, che - evidentemente - è libero di avvalersene o meno. Il procedimento in questione - sicuramente meritevole di tutela ex art. 1322 c.c. (non può disconoscersene la funzione deflattiva del contenzioso) - è condotto da apposite organizzazioni, rispondenti ai requisiti predisposti dalla NA, denominate "enti conduttori". E' poi assicurato il diritto al contraddittorio (nella specie ampiamente garantito ad entrambe le parti), così come sono previste precise regole procedurali (che, effettivamente, avvicinano l'istituto in esame ad una sorta di arbitrato). All'esito l'ente conduttore adotta una decisione motivata: se favorevole al ricorrente, la RA esegue la riassegnazione del domain name. A tal fine, il ricorrente deve provare (art. 16.6) che il nome di dominio in contestazione sia identico o confondibile rispetto ad un proprio marchio, o al proprio nome e cognome, ed inoltre che il nome di dominio sia stato registrato venga usato in mala fede (anche tale ultima condizione, si noti, non tè senza riscontro nell'ordinamento generale). L'altra parte, primo registrante, a fronte della prova surrichiamata offerta dal ricorrente, è onerato a sua volta, della prova di aver diritto o titolo in relazione al nome di dominio contestato. Tanto è avvenuto - come più volte rilevato - nella specie: ma la riassegnazione non ha alcuna efficacia preclusiva o ostativa rispetto al presente giudizio, ciò per espressa previsione delle stesse regole di Naming. Non solo - infatti - la procedura si estingue se, nelle more, viene proposto giudizio innanzi al Giudice ordinario o procedimento arbitrale (art. 16.3) ma - soprattutto - "la procedura non ha natura giurisdizionale e come tale non preclude alle parti il ricorso, anche successivo, alla magistratura o all'arbitrato", v. art. 16.2. In definitiva, quindi, la procedura, se da un lato è caratterizzata da particolare speditezza e semplicità, dall'altro (a differenza dell'arbitrato) ha una efficacia, quanto alla decisione finale, "debole", nel senso che è rimessa alle parti la decisione se darvi acquiescenza o, viceversa, ricorrere ad ulteriori forme di tutela. 7) il caso di specie: le domande delle parti Il caso di specie deve essere quindi deciso alla stregua dei principi espressi dall'Ordinamento generale. Occorre però qualificare con esattezza le domande delle parti. L'attore ha proposto una domanda di mero accertamento, circa la liceità della propria registrazione originaria, nel senso che questa non ha costituito violazione dei diritti del R. Può senz'altro affermarsi che a tale domanda corrisponda un sicuro interesse ad agire di V.; a seguito di una pronuncia favorevole, infatti, potrebbe conseguire la revoca della riassegnazione del domain name in contestazione, al più a mezzo di una ulteriore azione giudiziaria. La domanda riconvenzionale del R., invece, è stata formulata in modo impreciso; essendo già avvenuta la riassegnazione del sito in suo favore (v. infra), la riconvenzionale in parola deve qualificarsi a sua volta di mero accertamento, della liceità della riassegnazione stesso o meglio del proprio diritto - prevalente su V. - alla registrazione del domain name in oggetto. Anche a tale domanda - speculare a quella attorea - corrisponde l'interesse ad agire (a fronte delle sicure turbative del R., di cui questo giudizio costituisce sicura espressione). 8) tutela del nome e marchio costituito da nome altrui Il tribunale reputa che effettivamente la originaria registrazione di V. non ledeva il diritto del R. Il convenuto R. invoca la tutela di cui all'art. 7 c.c. (e in tal senso anche la decisione di riassegnazione cit.): tale norma consente alla persona, "alla quale si contesti il diritto all'uso del proprio nome, o che possa risentire pregiudizio dall'uso che altri indebitamente ne faccia", di chiedere giudizialmente la cessazione del fatto lesivo. Il tribunale reputa, al contrario, che debba piuttosto farsi riferimento alla normativa di cui alla legge marchi, come si è visto direttamente applicabile ai domain name. Le interferenze tra la disciplina dei marchi e quella dei nomi civili sono non solo concretamente possibili (e anzi frequenti), ma anche - e soprattutto - previste dalla legge. Il richiamo non è tanto all'art. 1 bis, 1° comma lett. a) legge m. - secondo cui il titolare dei diritti su di un marchio registrato non può vietare ai terzi l'uso, nella attività economica, dei loro nomi (ma in funzione non distintiva, v. trib. Napoli, 4 luglio 2001, Dir. Ind, 2002, 129); qui infatti rileva soprattutto l'art. 21 legge marchi, nel testo rinovellato dal D.L.vo 4 dicembre 1992, n. 480. Tale norma prevede che "I nomi di persona diversi da quello di chi chiede la registrazione possono essere registrati come marchi, purché il loro uso non sia tale da ledere la fama, il credito o il decoro di chi ha il diritto di portare tali nomi. L'ufficio italiano brevetti e marchi ha tuttavia la facoltà di subordinare la registrazione al consenso (dell'avente diritto). (2° comma) Se notori, possono essere registrati come marchio solo dall'avente diritto, o con il consenso di questi “.i nomi di persona” (3° comma)". La previsione dell'art. 21.2 cit. è quindi più restrittiva - richiedendo la lesione di fama, credito o decoro, rispetto a quella dell'art. 7 cit., che ammette la tutela a fronte di qualunque pregiudizio discendente dall'uso abusivo dell'altrui nome. La giurisprudenza ha poi avuto modo di occuparsi del possibile conflitto - quanto alla identificazione della norma applicabile - tra gli art. 7 c.c. e 21 legge m. cit., giungendo a conclusioni favorevoli alla applicazione esclusiva di tale ultima disposizione. Così Cass. 6 aprile 1995, n. 4036 (G., 3198): "Al fine di verificare se l'uso di un nome altrui, in occasione dell'adozione di una ditta commerciale o di un marchio, possa ritenersi o meno indebito, deve farsi riferimento alla disciplina specifica che la legge riserva a tali segni distintivi nell'ambito del diritto commerciale, non già alla tutela riservata dalla legge ai diritti della personalità (art. 7 c.c.), con la conseguenza che un provvedimento giudiziario che inibisca ad altri l'uso del proprio nome può essere chiesto solo quando questa utilizzazione si traduca in un uso arbitrario di segni distintivi dell'attività imprenditoriale" La ragione della prevalenza riconosciuta alla normativa industrialistica sta nel fatto che il nome patrominico, quando viene usato per distinguere i prodotti o i servizi di una determinata impresa, acquista una propria entità, del tutto indipendente dalla persona fisica cui il nome appartiene (ma può essere anche una persona giuridica o una associazione non riconosciuta). In tal senso v. espressamente Cass. 3 luglio 1992, n. 8157, G., 2751. In altri termini l'art. 7 c.c. vieta l'uso pregiudizievole del nome altrui posto in essere a scopo di identificazione personale, mentre l'art. 21 legge marchi disciplina la ipotesi, diversa, di uso del nome altrui come marchio (sotto una diversa prospettiva le due norme, più che avere ciascuna un suo ambito precettivo, concorrono entrambe alla definizione dei limiti di registrabilità come marchio del nome altrui). Il principio suesposto è stato reiteratamente ribadito, tanto da costituire "diritto vivente" (v. con riferimento all'uso della altrui denominazione sociale come marchio Cass. 21 ottobre 1988, n. 5716, G., 2242, secondo cui trova appunto applicazione la disciplina delineata dall'art. 2564 c.c. e legge marchi; più di recente v. Cass., 13 marzo 1998, n.. 2735, Riv. dir. ind., 1999, II, 477, per la giurisprudenza di merito v. Pret. Bologna, 22 novembre 1991, G., 2778, secondo cui la società che utilizzi come marchio il nome di uno dei suoi massimi esponenti è l'unico soggetto legittimato a chiederne la registrazione; v. anche Trib. Milano, 9 novembre 1992, G., 2858, caso le C.). 9) il libero uso come marchio del nome altrui: portata e limiti Il principio espresso dall'art. 21 è quindi quello della libera utilizzazione nei marchi dei nomi altrui, con un duplice limite: l'uso in parola è lecito sempre che non sia lesa l'immagine di chi porta quel nome e, comunque, non deve trattarsi di nomi notori. Quest'ultima previsione, introdotta dalla novella del 1992 (e di notevole interesse sistematica quanto alla stessa individuazione della funzione giuridicamente protetta del marchio) mira, in sostanza, a precludere operazioni parassitarie a danno dell'altrui notorietà (l'art. 21.3 cit., rendendo necessario il consenso del titolare del nome, è soprattutto espressione della tendenza legislativa e di una parte della dottrina a dilatare i margini di tutela del diritto al nome, consentendo ad ogni soggetto il diritto di appropriarsi degli effetti positivi connessi alla utilità economiche connesse alla propria notorietà, cd right of publicity). Qui però - a fronte della sicura non notorietà del R. (comunque voglia ricostruirsi la c.d. notorietà civile) interesse il più tradizionale limite dell'art. 21.2, il divieto di lesione dell'altrui credito e decoro. Specie in passato non è mancato, anche in giurisprudenza, chi ha affermato che è già lesiva del decoro della persona la stessa utilizzazione del nome come marchio: si risolverebbe infatti nella degradazione del nome da attributo della personalità alla ben più modesta funzione di strumento di individuazione dei prodotti. Alla stregua di tale interpretazione l'adozione del nome altrui sarebbe sempre lesiva dell'altrui credito, e quindi sempre vietata: ciò risolverebbe nella sostanziale abrogazione dell'art. 21.2. cit. Di contro, la giurisprudenza ormai costante afferma che, ai fini della lesione (vietata) dell'altrui credito, occorre un quid pluris rispetto alla mera utilizzazione del nome come marchio. La lesione in parola, quindi, si verifica quando l'altrui nome serva a designare un prodotto di natura vile, poco decoroso, oppure quando sia inserito in un contesto costituito da figurazioni frivole, antiestetiche, o comunque contenente frasi non confacenti alla dignità del titolare del nome, v. App. Milano, 30 luglio 1996 (caso L.), G., 3605. La libera utilizzabilità in un marchio di un nome altrui, pur non notorio e senza i profili di pregiudizio richiamati dall'art. 21.2. cit., può trovare infine un nuovo ostacolo nella legge 31 dicembre 1996 n. 675, tutela delle persone e di altri soggetti rispetto al trattamento dei dati personali Si è affermato, in dottrina, che tale legge (v. soprattutto gli artt. 10 sul diritto di informativa, 11, sull'obbligatorietà del consenso al trattamento dei dati personali, 13 sui diritti dell'interessato), estendendo al quisque de populo il controllo su ogni aspetto della propria personalità, ha estremamente limitato - se non implicitamente abrogato - l'art. 21.2 cit. Ciò nel senso che è sempre illegittimo l'uso in un marchio di un nome altrui, essendo sempre necessario il consenso dell'avente diritto (notorio o meno). Il tribunale reputa che, al contrario, la legge 675/1996 cit. non ha inciso sulla legge marchi, se non in misura molto meno incisiva di quanto prospettato. Ciò alla stregua della stessa ratio sopra esposta, quanto alla prevalenza della disciplina industrialistica su quella civilistica. Vuole affermarsi che il nome, una volta "recepito" in un marchio, perde - di fatto - la proprio connotazione se di nome, assume una configurazione diversa, astratta e svincolata rispetto all'avente diritto originario: quella, appunto, di segno distintivo (in primo luogo) di beni o servizi. In altri termini il nome non notorio, una volta che diventa marchio, cessa di essere nome, o almeno cessa di esserlo nell'uso commerciale. Proprio la mancata notorietà del nome rende impossibile la "trasmissione" della sua conoscenza (dotata di portata evidentemente positiva) al prodotto o servizio "marcato": la mancanza di una memoria (favorevole) che si trasmette dal nome al marchio omonimo rende inutile il consenso dell'avente diritto. E' una inutilità non solo economica (nel senso che il nome non produce alcun valore economico da tutelare). Il nome non notorio, divenuto marchio, è divenuto, lo si ribadisce, altro da sé, del tutto svincolato a chi ne ha diritto esclusivamente come nome (e ciò spiega, specularmente, perché per il nome notorio il consenso all'uso come marchio sia necessario). Se così è (e fino a che è così) non vi è alcuna riservatezza, o privacy, da tutelare: non vi è spazio per la legge 675/1996 cit. perché, in ultima analisi, non vi sono dati personali (a partire da quello fondamentalissimo: il nome) da tutelare, non c'è un quisque de populo leso nel suo diritto alla riservatezza. Ciò non esclude, peraltro, che possa porsi una questione di tutela della riservatezza, alla stregua della nuova legge cit., allorché la persona, pur non nota, il cui nome sia ricompreso nel marchio, sia comunque identificabile. Si tratta però, ad avviso del Tribunale, di ipotesi marginale: assai difficilmente, infatti, potrà affermarsi, con ragionevole sicurezza, che un marchio denominativo identifichi, anche, una persona non notoria, e ciò attraverso l'uso del suo nome. Un tale marchio, infatti, è composto da una più parole sostanzialmente di fantasia, che - se mente - possono avere i significati più diversi, e solo casualmente coincidere con nomi altrui. Non a caso una avveduta dottrina ha rilevato che l'art. 21. 2 ha ormai la funzione di tutelare chi ha registrato in buona fede dei nomi di fantasia come marchio, al fine di non esporlo ad eventuali ricatti di persone il cui nome coincide con la parola usata come marchio. 10) il caso di specie Può allora agevolmente decidersi il caso di specie. Si è già dedotto che il convenuto D.R. non è certo persona nota, o meglio che il suo nome non ha alcuna rinomanza. Già alla stregua di questa considerazione il domain name originariamente registrato non ne ha leso alcun diritto. Il convenuto, poi neanche ha prospettato che dalla registrazione del domain name sia derivato un pregiudizio alla sua fama decoro, credito. Ciò anche alla stregua di una concezione molto ampia di tali concetti. Anche in via di fatto, alcun pregiudizio può derivare al signor R. dalla iniziativa di parte attrice: egli potrà d'altronde agevolmente registrare altro domain name - comprensivo anche del proprio cognome (es. con l'aggiunta di parole come "famiglia", o anche del proprio stesso prenome) per diffondere in rete le notizie sui propri antenati, come prospettato. Di più: il domain name in parola non evoca in alcun modo il nome dell'attore, non lo identifica. Può bastare il rilievo che la parola xxx coincide solo con il cognome del convenuto, senza ricomprenderne il nome. Si tratta di un cognome forse non diffusissimo, ma comunque non "unico" e proprio della sola famiglia del convenuto (né tale famiglia - a quel che consta - è la più conosciuta nell'ambito dei "diversi" R., così come, invece, il cognome - pur diffusissimo - F. individua sicuramente la famiglia del notissimo e defunto costruttore automobilistico, anzi senz'altro direttamente quest'ultimo). In altri termini il domain name per cui è causa non identifica affatto in via esclusiva il convenuto, o meglio la persona del convenuto, ma al più solo uno dei componenti di una famiglia R., parente o meno del convenuto stesso. In via meramente indicativa si rileva che l'elenco telefonico (anno 2001- 2002) porta, nel solo Comune di Napoli, ben nove utenze telefoniche sotto il cognome R. (si tratta di documento di uso generale, rientrante nella comune esperienza). Il convenuto non può quindi affermare, lui solo, di essere stato leso nel suo diritto al nome dal domain name in parola, arrogandosi la pretesa di conseguirne la tutela anche giudiziale. La sicura esistenza di omonimi fa venire meno, in definitiva, la lamentata identificazione convenuto - domain name, rendendo quest'ultimo del tutto astratto e autonomo rispetto a qualunque persona fisica (e cosa accadrebbe, viene da chiedersi, a fronte di domain name coincidenti con cognomi ben più diffusi, es., in ambito napoletano, E.?). La tesi qui sostenuta non è senza riscontro giurisprudenziale: si è così affermato da Trib. Torino, 05 marzo 1998, Dir. informazione e informatica, 1999, 893, che " non può considerarsi illecito l'uso come marchio di un termine coincidente con un nome di persona (nella specie: Fido) in assenza di riconoscibilità del soggetto e di pregiudizio agli interessi della personalità di costui" Ed infine: la parola xxx, a ben guardare, rimanda non tanto ad uno dei componenti delle famiglie R., quanto -soprattutto - alla omonima - e unica con questo nome - città lucana (da cui, verosimilmente, il cognome deriva). Da qui allora l'infondatezza delle ragioni del convenuto - sottese alla domanda riconvenzionale. 11) difetto di distintività e rilievo incidentale della nullità del domain name originariamente di V. Pure non può accogliersi, di converso, la domanda di accertamento proposta dall'attore. Il domain name originariamente registrato da V. è nullo e quindi non è suscettibile di alcuna tutela giuridica, neanche - nel caso di specie - nei confronti di D.R. (le cui ragioni, lo si è visto, sono state del pari disconosciute). Tanto si rileva, incidentalmente, d'ufficio, ex art. 47 b) legge marchi (l'accertamento è incidentale, e quindi operato dal giudice monocratico, in quanto il domain name in oggetto comunque non è più attivo, nel senso che non appartiene più a V.). La nullità in questione, come si dirà di qui a poco, attiene al difetto di capacità distintiva del segno, in quanto descrittivo del servizio fornito da quel sito Internet. Va al riguardo segnalato che la valutazione del carattere distintivo del segno/domain name deve essere condotta con particolare rigore, al fine di evitare la monopolizzazione di parole o espressioni che, viceversa, devono restare di dominio comune. Tale esigenza, propria del diritto dei marchi, è particolarmente forte in Internet per il particolarissimo rilievo che ha il domain name nell'attrarre l'utente, se si preferisce nell'"orientare il navigatore on line". Deve richiamarsi quanto già osservato da Trib. Napoli 26 febbraio 2002 cit., con riferimento alle particolari modalità di manifestazione in Internet del rischio di confusione/associazione, il fenomeno della c.d. pre - sale ovvero initial confusion. Questa si manifesta solo in una prima fase dell'approccio al sito con quel domain name, costituente contraffazione dell'altrui marchio, ma è di per sé sufficiente a determinare l'approfittamento per il titolare del domain name medesimo. In definitiva, in ambito telematico, l'effetto utile per il titolare del sito è il momento del contatto iniziale L'utente, infatti (sia che digiti direttamente il domain name, sia che passi attraverso links o motori di ricerca) è attirato in primo luogo dalla denominazione del sito; egli tenderà quindi a digitare, in primo luogo, la/le parole corrispondenti al prodotto/servizio ricercato. Ad esempio chi cerca informazioni turistiche o di altro tipo su una certa località digiterà in primo luogo il nome di quella località; e ove si avvalga di un motore di ricerca, tenderà (viene da dire istintivamente) ad aprire il sito il cui domain name corrisponde a quella parola. In altri termini un domain name coincidente puramente e semplicemente con il prodotto o il servizio cercato dal navigatore, e quindi meramente descrittivo, crea un rilevantissimo ed illegittimo pregiudizio per gli operatori concorrenti con il titolare del sito. Tale pregiudizio si pone su un piano anticipato rispetto al rischio di confusione/associazione: quello della nullità per difetto di capacità distintiva, ex art. 18 legge marchi, norma che, pertanto, qui svolge in maniera evidentissima il proprio ruolo di presidio della libera e corretta concorrenza. 12) marchi/domain names geografici e nullità nella specie punto di partenza è il rilievo - già svolto - che R., oltre che un cognome, è un toponimo, e - meglio ancora - il nome di un Comune, ente dotato di personalità giuridica, e portatore a sua volta del diritto al nome. Qui però intende porsi l'accento sul carattere indubbiamente geografico del termine. Opera allora l'art. 18 1° comma lett. b) legge marchi che vieta la registrazione come marchio - e quindi di converso come domain namedei "segni costituiti esclusivamente dalle denominazioni generiche di prodotti o servizi o da indicazioni descrittive che ad essi si riferiscono come i segni che in commercio possono servire a designareà.la provenienza geograficaà.del prodotto o della prestazione del servizio". La giurisprudenza in materia di capacità distintiva del segno, e in particolare di marchi geografici, è amplissima. Si afferma che non è ammissibile una privativa sulla descrizione o sulla provenienza di un prodotto o di un servizio: né può trascurarsi che all'interesse della generalità alla libera appropriabilità di una indicazione geografica si aggiunge una intuibile esigenza di tutela dell'affidamento. La legge mira ad evitare la appropriazione di segni che definiscono in astratto "quel" prodotto o servizio. Un toponimo può però avere anche altre funzioni semantiche, indicare qualcosa di diverso dal dato geografico. In tal caso può costituire valido marchio. In altri termini il toponimo, quando non sia usato come descrizione delle caratteristiche del prodotto o dell'origine, può costituire un marchio di fantasia. Può richiamarsi il caso delle sigarette C., particolarmente interessante nel caso di specie perché la tutela era stata invocata anche ex art. 21 legge marchi. Sia i giudici di merito che - in ultimo e di recente - la suprema Corte hanno affermato che il marchio "C.", usato per contraddistinguere sigarette, è valido in quanto non è marchio geografico; ciò perché C. non è notoriamente luogo di produzione del tabacco, sicché il collegamento con il prodotto è del tutto di fantasia (Trib. Roma, 2 marzo 1993, G., 2949, che ha anche riaffermato la distinzione già esposta dell'ambito di operatività dell'art. 7 c.c. e dell'art. 21 legge marchi; Cass. 20 dicembre 2000, n. 16022, id. 4203). Ed ancora: "Il nome geografico può essere assunto come marchio cioè indicatore della provenienza del prodotto da una determinata impresa, se sia "insignificante" della qualità del prodotto, ossia non descrittivo" v. Cass. 28 novembre 1996, n. 10587 (caso P.U.), Giur. it., 1997, I, 1, 1538. Per la giurisprudenza di merito di recente App. Bologna, 23 marzo 2002, Dir. Ind., 2002, 243, ha ritenuto - sempre alla stregua dell'art. 18 lett. b) cit., che "deve ritenersi che il segno costituito da un quadrato nel quale è iscritto un cerchio di colore azzurro ove compare la scritta "Mortadella di Bologna due torri" ovvero "mortadella due torri di Bologna" con le torri Galisenda e Asinelli stilizzate sul fondo indica al contempo la provenienza del prodotto e la sua qualità e di conseguenza non possiede per se stesso la capacità distintiva necessaria per costituire valido marchio" (il marchio geografico è però valido se ha raggiunto per la sua notorietà una rilevante forza distintiva, svincolata dalla mera indicazione della zona in cui il prodotto viene realizzato, v. Trib. Ancona 3 settembre 1996, Riv. dir. ind., 1997, II, 53). In termini v. anche Commiss. ricorsi materia brevetti, 07 ottobre 1994, n. 78/91, Dir. ind., 1995, 151: "Non è registrabile come marchio per contraddistinguere prodotti cosmetici fabbricati utilizzando materiali delle terme che si trovano in tale località il nome "Saturnia" che indica lapalissianamente la provenienza o la localizzazione dei prodotti o del servizio fornito". Va infine richiamato sempre nello stesso senso - un provvedimento relativo proprio ad un domain name, Trib. Siracusa, sez. distaccata di Lentini, ord. 23 marzo 2001, Foro It. 2001, I, 3705: " il nome di una località può costituire oggetto di marchio solo ove, lungi dal rivelare particolari caratteristiche del prodotto o far riferimento alla sua origine, assuma un significato fantastico con funzione meramente individualizzante"; nella specie è stata negata la tutela inibitoria (cautelare) al marchio di servizio Sicily on line con riferimento ad un omonimo domain name. 13 a) il caso di specie, quanto al domain name V. Nel caso di specie il Comune di xxx non è parte del giudizio, sicché non può porsi (come, invece, astrattamente, sarebbe stato possibile) la questione della applicazione dell'art. 21 cit. a tutela del soggetto che è pur sempre l'ente esponenziale della collettività dei cittadini (il Comune d'altronde è titolare, in base alle regole di Naming, di domain name riservati). Resta tuttavia che V. ha registrato un domain name corrispondente ad un toponimo in violazione dell'art. 18 cit. Infatti - come prospettato in citazione - il sito Internet in parola si inserisce nell'ambito di "un progetto finalizzato, tra l'altro, ad offrire agli utenti di Internet vari servizi di informazione e cosiddetta "georeferenzialità" relativi ad alcuni piccoli comuni italianiàl'idea è stata quella di allestire per ciascun comune prescelto un sito all'interno del quale gli utenti avrebbero potuto reperire le informazioni più rilevanti relative a quel Comune". Il domain name, è tutt'altro che di fantasia, nel senso sopra indicato. Al contrario, il nome del sito è descrittivo, e si risolve in una illecita indicazione geografica, nel senso che il servizio offerto (e che la denominazione indica) è proprio strettamente relativo alla omonima località. V. - in altri termini - pretende di monopolizzare, come segno distintivo sulla rete Internet, un toponimo (oltretutto coincidente con il nome di un Comune) nella sua dimensione se di indicazione geografica. Da qui allora la palese illiceità sia della originaria registrazione dell'attrice (per le ragioni qui esposte, non certo per la lesione di pretesi diritti del signor D.R.) che di ogni altra registrazione di domain name effettuata nell'ambito del programma surrichiamato (illiceità che, nella legge marchi, è sanzionata dal richiamato art. 47). Da qui il rigetto della domanda dell'attore. 13 b) il caso di specie, quanto al domain name di D.R. Si è già detto che la riassegnazione del domain name al R. è avvenuta illegittimamente. Sempre per completezza (ma anche al fronte del rigetto della domanda attorea, cui consegue di fatto la conferma della riassegnazione in parola) deve rilevarsi che le considerazioni che precedono, circa la nullità del domain name originariamente di V., non possono però essere svolte con riferimento allo stesso domain name in quanto trasferito al R. Ciò in quanto - pure lo si è detto - il sito del convenuto non ha (almeno a quel che è stato dedotto: ma l'attore nulla ha replicato) carattere commerciale, e quindi è un domain name "civile", non equiparabile di per sé ad un segno distintivo (v. ante). Pertanto non potranno ad esso riferirsi le disposizioni in punto di capacità distintiva dei marchi: a parte il rilievo che in quanto facente capo al signor R., non ha carattere geografico, prevale il rilievo che qui non opera, né avrebbe senso, la ratio (evitare la monopolizzazione di parole ed espressioni che devono restare di uso comune nel commercio) che sta alla base delle richiamate disposizioni della legge marchi. Ricorrono giusti motivi per l'integrale compensazione tra le parti delle spese di lite. P. Q. M. Il Tribunale di Napoli, definitivamente pronunziando, così provvede: 1) rigetta sia la domanda di parte attrice che la riconvenzionale di parte convenuta. dichiara l'integrale compensazione tra le parti delle spese del giudizio. |
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