Per Confindustria basterebbe abbattere i tempi del 10 per cento per guadagnare quasi un punto di Pil ogni anno: qualcosa come 13/14 miliardi. Lo studio delle Banca mondiale e i dati della Confartigianato. "Se in Germania oppure in Francia si può risolvere una controversia commerciale in un terzo del tempo, è comprensibile che si decida di investire poco in Italia", spiega Mariano Bella, direttore dell'Ufficio Studi di Confcommercio
ROMA - La crisi della giustizia ci costa cara anche in termini economici. E non caso si è occupata della situazione anche la Banca Mondiale calcolando nel suo rapporto "Doing Business 2013" che da noi occorrono 1.210 giorni per tutelare un contratto, 692 giorni in più - equivalente a un anno dieci mesi e 27 giorni - rispetto alla media dei Paesi avanzati. Risultato: l'Italia che produce, commercia e fa business, soffre il mancato funzionamento della giustizia civile, pagandolo in termini di minori investimenti, di immobilizzo di capitali e di ricorso al sistema bancario. Quanto si perde? Almeno 2,7 miliardi di euro stando ai dati forniti da Confartigianato. "I ritardi della giustizia civile frenano l'economia, facendo perdere al Paese un punto di Pil all'anno" valutò due anni fa l'allora governatore della Banca d'Italia, Mario Draghi. Concetto rispolverato di recente dal ministro della Giustizia Paola Severino dopo che anche l'Europa aveva lanciato l'allarme durante la visita nel luglio 2012 del commissario per i diritti umani del Consiglio d'Europa, Nils Muinieks. Per il Centro Studi di Confindustria basterebbe abbattere del 10 per cento i tempi di risoluzione delle cause per guadagnare lo 0,8 per cento del Pil ogni anno: insomma qualcosa come 13/14 miliardi di euro.Eppure in base al rapporto 2012 del Cepej, (European Commission for the Efficiency of Justice) del Consiglio d'Europa, la spesa per la giustizia civile in Italia è in linea con la media degli altri paesi: poco più di tre miliardi di euro, pari allo 0,20 per cento della spesa pubblica complessiva (in Europa siamo intorno allo 0,24 per cento). Lo Stato italiano investe 50,3 euro per abitante contro i 37 della media europea. Ovvero il 36 per cento in più.
Di fronte a una spesa pubblica in linea con le medie internazionali, abbiamo circa il 50 per cento in meno dei giudici e del personale amministrativo e, prima dei recenti accorpamenti, il 21 per cento in più di tribunali.
"Se in Germania oppure in Francia, a parità di condizioni, si può risolvere una controversia commerciale in un terzo del tempo, è comprensibile che si decida di investire poco in Italia", spiega Mariano Bella, direttore dell'Ufficio Studi di Confcommercio. "Nel nostro Paese - prosegue - sono 41 le procedure che un tribunale deve avviare per fare rispettare un contratto: nel Regno Unito solo 28". E in effetti alcuni osservatori spiegano che una quota rilevante delle imprese che pure ritiene di aver ragione preferisce trovare un accordo extra giudiziale e, secondo i dati dell'indagine Invind della Banca d'Italia, in media rinuncia al 36 per cento della somma dovuta pur di non andare in giudizio.
Nel bilancio dello Stato si è infine consolidata negli ultimi anni anche una nuova voce di spesa: il "debito Pinto", dal nome della legge del 2001 che ha introdotto il diritto per il cittadino, che ha in corso una causa da più di 3-4 anni, di ottenere un risarcimento in seguito alla violazione della Cedu (Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali). "Negli anni lo Stato ha visto moltiplicarsi le richieste di indennizzo", spiega l'avvocato Alberto Vigani, autore di una breve guida online per ottenere il risarcimento. Vigani punta l'attenzione sui ritardi nei pagamenti e sul pericolo che nei prossimi anni il debito possa aumentare. In seguito ai numerosi reclami, infatti, la pubblica amministrazione italiana è stata già condannata a pagare, per il periodo compreso tra il 2001 e il 2009, più di 300 milioni di euro di risarcimenti.